Ormai è una strage continua, nel 2020 le morti sul lavoro, secondo i dati presentati dall’Inail, sono state 1.270 (un terzo per covid) e nel 2021 finora si contano già 187 vittime di infortuni, con un aumento dell’11,4% nel primo trimestre 2021.Dieci morti in sette giorni, mentre nell’ultimo anno le cosiddette “MORTI BIANCHE” sono aumentate del 38%.Proprio ieri si sono svolti i funerali di Luana D’Orazio, una giovane di 22 anni, madre e lavoratrice, che è deceduta, qualche giorno fa, per schiacciamento del torace, in una industria tessile di Montemurlo, in Provincia di Prato.Proprio in questi giorni ricorreva l’anniversario del crollo dell’edificio Rana Plaza, in Bangladesh, alla periferia della capitale, con migliaia di persone all’interno e con 1.134 morti, il peggior disastro industriale che il settore dell’abbigliamento abbia mai visto. (vedi il sito: www. ranaplazaneveragain.org)E’ indispensabile, quindi, trarre una lezione dalla concatenazione terribile delle ultime tragedie.L’umanità ha bisogno vitale di protezione della persona e stabilità attraverso occupazioni con cui si possa guardare all’avvenire senza essere vittime del presente, indifesi ed esposti alla speculazione, al precariato.Quando in una società prevale l’angoscia del lavoro che manca, sta per finire o è pericoloso, ne va di mezzo la qualità della vita, e tutto viene messo in discussione: si diffonde l’insicurezza, alimentando paure ed ansie e si è disposti a tutto pur di lavorare.Come ha detto l’Arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi, commentando i fatti accaduti, non basta la ciclica lamentela, si deve pensare al futuro con una riforma del sistema produttivo all’insegna della tutela della vita e non più solo del profitto.

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